Attacco a Gaza, tutto uguale ma tutto diverso

di  Enrico Campofreda

Manifestazioni contro i bombardamenti sui palestinesi di Gaza in Egitto e Turchia. Le conseguenze dei raid su Gaza riverberano nel Medio Oriente ridisegnato dai successi dei Fratelli Musulmani. Un problema in più per Israele.

Il tiro al bersaglio subìto dai palestinesi di Gaza, non solo sul loro capo militare Al-Jabari assassinato alla maniera di Yassin e Rantisi, ma gli altri corpi bruciati dalla “Colonna di fumo” che ripete i crimini di “Piombo fuso” sembra riproporre i tragici dejà-vu di quattro anni or sono.

Come allora l’establishment israeliano rilancia una campagna elettorale a suon di morti e l’alleato protettore statunitense l’appoggia. Alla faccia di tutte le teorizzazioni del riformismo elucubratorio che per settimane ci ha deliziato con le presunte differenze fra la linea di Obama e quella di Romney, non solo sulla politica sociale ma su quella estera. Le posizioni di Washington, che hanno finora frenato l’essenza guerrafondaia d’Israele verso l’Iran, lasciano via libera sul capro espiatorio palestinese. E le giustificazioni al killeraggio ritrovano il supporto degli ideologi del sionismo che il mondo intellettuale fregia del titolo di pacifisti democratici. Per tutti lo scrittore Abraham Yehoshua che al quotidiano italiano “La Repubblica” dichiara: “E’ tempo che Israele riconosca che Gaza è un nemico. E agisca di conseguenza: smetta di fornire elettricità e far passare cibo (sic). Dichiari ufficialmente che siamo in uno stato di guerra e agisca di conseguenza… Parliamo di uno Stato che ha un suo esercito e lo usa contro di noi, la situazione va chiarita una volta per tutte”.

Ma il panorama mediorientale mostra anche nuovi scenari. Le primavere arabe hanno lasciato il segno un po’ ovunque, principalmente nelle incognite di una guerra civile aperta in Siria, e nel rafforzamento dell’Islam politico oggi alla guida dell’Egitto. La stessa Turchia che al pari delle altre due nazioni strutturate militarmente aveva mantenuto buoni rapporti diplomatici con Tel Aviv, dall’attacco di “Piombo fuso” passando per l’abbordaggio di Mavi Marmara su cui vennero uccisi dagli incursori israeliani 9 attivisti turchi, mostra ben altri sentimenti. Al di là di quello che praticano le rispettive leadership, che ovviamente si rapportano a Washington e agli organismi internazionali, è il cuore e la voce di quelle popolazioni che sono cambiate. Lo confermano le reazioni di queste ore. Nella serata e nella notte di ieri al Cairo una folla s’è ritrovata in strada a Talaab Harb e dintorni, sventolando bandiere palestinesi e osannando la mossa del Presidente Mursi che aveva richiamato l’ambasciatore egiziano da Israele. La vicinanza fra Hamas e la Fratellanza Musulmana è stata ribadita sia da dichiarazioni del portavoce della formazione palestinese Abu Zuhri presente nella capitale egiziana, sia da comunicati ufficiali della Confraternita che avvertono “Se i leader israeliani pensano che i problemi con cui si stanno confrontando in questi mesi i popoli arabi e musulmani possano far accantonare la causa palestinese, resteranno delusi. La Palestina ci è cara come il sangue che ci scorre nelle vene”.

Un obiettivo che le componenti giovanili della Fratellanza, sostenitrici di posizioni poco concilianti con l’Occidente anche in politica estera, consiste nella revisione degli accordi con Israele siglati all’epoca di Sadat. Tema caro anche alla componente salafita con cui l’attuale dirigenza del Partito della Libertà e Giustizia deve tenere aperti i canali di possibili alleanze per le prossime elezioni politiche. Contro il nuovo attacco israeliano si sta attivando anche la sinistra egiziana e i sempre solidali giovani del movimento di Tahrir. Sabbahi, creatore del gruppo Corrente Popolare, ha chiamato alla mobilitazione i propri sostenitori. Anche a Istanbul centinaia di persone con bandiere palestinesi si sono ritrovate nella tarda serata davanti alla Moschea di Fatih, ascoltando le parole di Ebu Imad, capo ufficio politico di Hamas presente in Turchia “I nostri combattenti a Gaza hanno meno armi degli israeliani, ma nei loro cuori lo spirito dei martiri è più forte di ogni armamento nemico”. I turchi filo palestinesi, che col processo a Mavi Marmara avviato dieci giorni fa richiedono l’arresto del Gotha militare di Tel Aviv (Ashkenazi, Marom, Levi, Yadlin, cui s’aggiunge il generale Aluf Tal Russo comandante della sede meridionale dell’Idf ), applaudivano con vigore. Finora l’apparato del partito-Stato dell’Akp non ha lanciato nessun comunicato ufficiale, solo il Felicity Party condannando Israele e ricordando il complice silenzio della Comunità Internzionale chiede come mai quest’ultima si mobiliti per i diritti degli animali e taccia sugli attacchi al popolo di Gaza.

fonte: contropiano.org

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Siria, crisi, guerra: a che punto è la notte?

«Oggi il compito è diverso, più vicino all’azione. Ci vuole più diffidenza per le dichiarazioni e le conferenze da parata. Ci vuole più energia nell’elaborazione di risposte e consigli precisi ai pubblicisti, ai propagandisti, agli agitatori, a tutti gli operai coscienti, affinché questi consigli non possano non essere compresi. Ci vuole più chiarezza e precisione nella raccolta delle forze per il lungo lavoro di attuazione pratica di questi consigli.»

Lenin, L’unificazione degli internazionalisti

Dopo la rimozione della Libia gheddafiana era in qualche modo scontato che ad entrare direttamente nel mirino della tendenza alla guerra fosse la Siria. Così è puntualmente avvenuto. A un primo sguardo sembra che, in fondo, la rimozione del regime nazionale siriano non sia altro che l’ennesimo tassello posto dall’imperialismo nelle sue mire di conquista e rimozione di tutti quegli stati e regimi poco proni ad allinearsi ai suoi diktat.  Un’operazione “normale” alla quale, da tempo, siamo stati abituati. Interventi militari di questo tipo, a partire dalla prima guerra del Golfo del ’91, sono diventati un’abitudine, una routine alla quale tutti sembrano essersi assuefatti. Chiamate, a seconda dei casi, operazioni di polizia internazionale o guerre umanitarie, gli interventi armati in giro per il pianeta non stupiscono più nessuno. Continua a leggere

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PFLP: Abbas’ statements on the right of return and resistance are unacceptable

The Popular Front for the Liberation of Palestine stated its complete rejection of the statements of PA President Mahmoud Abbas in an interview with Israeli television and demanded that the Executive Committee and Central Council of the PLO act immediately to address these statements.

Comrade Dr. Rabah Muhanna, member of the political bureau of the PFLP, said that these statements contradict the PLO’s own positions and the fundamental principles of the Palestinian people, including the right of return, self-determination, the independent state, the right of our people to exercise all forms of resistance against the occupation to achieve our national goals. He noted that Abu Mazen is not entitled to liquidate these constants, nor is anyone else, noting that these remarks apparently seek to propitiate and beg before the US and Israel seeking to be given something. Dr. Muhanna said that the Palestinian people will continue to insist on their right of return and self-determination and a democratic Palestine on all of the land of Palestine.

Comrade Khalida Jarrar, also a member of the Political Bureau, joined in the strong condemnation, saying that these statements seek to undermine a sacred and inalienable right and cross a red line, and that the right to return cannot be undermined by any person. It is not a personal opinion of this or that person. Jarrar also denounced his claims that he would not allow the outbreak of a third intifada, noting that no one can restrain the anger of the resistance of the Palestinian people or the inevitability of a new uprising so long as the occupation and its aggressive policies continue to exist.

Jarrar said that the resistance in all of its forms has been and continues to be the path of the Palestinian people in the struggle against the occupation in order to gain their rights, and said that no matter how long it takes our people will achieve freedom, return and self-determination and will return to their hometowns from which they were forced in 1948.

fonte: pflp.ps/eng

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Comunicato del Gruppo d’Azione per la Palestina sul corteo contro il governo Monti e le sue politiche antipopolari

Sabato 27 ottobre 2012 il Gruppo d’Azione per la Palestina ha partecipato al corteo nazionale contro le politiche del governo “risanatore” guidato da Mario Monti, fatte di tagli, sacrifici, licenziamenti e veri e propri furti esercitati sulle classi popolari  in nome della cieca obbedienza ai dettami della Banca Centrale Europea, del Fondo Monetario Internazionale e di altre  istituzioni economico-finanziarie. Oltre alle critiche riguardanti la politica economica, il GAP, assieme ad altre realtà vicine alle sorti e alle lotte dei popoli arabi, ha protestato contro lo schieramento dell’Italia al fianco dei “ribelli” siriani (dichiarato a più riprese dal ministro degli esteri Giulio Terzi), e il sostegno al governo d’occupazione israeliano, espresso non più di qualche giorno fa dallo stesso presidente del consiglio Mario Monti. Entrambe queste posizioni sono completamente inaccettabili. Siamo contrari al sostegno ai “ribelli” siriani perchè crediamo che questi rappresentino l’avanguardia di una
offensiva (voluta, sostenuta e finanziata da Arabia Saudita, Qatar, Stati Uniti e Israele)
volta a far cadere il governo siriano attuale, laico e vicino alle resistenze che oggi danno speranze a non pochi popoli vicino orientali ed arabi (su tutti il popolo libanese, il popolo palestinese e quello del Bahrain). Una guerra e un “regime change” finalizzati a rendere la Siria molto più islamica ed “islamista” di quanto non lo sia ora, e a colpire direttamente il fronte di opposizione all’aggressiva politica di Israele e alle ingerenze occidentali negli Stati del Vicino Oriente. Crediamo inoltre che sostenere Israele nel mantenimento del regime di apartheid e nella sua operazione di pulizia etnica della Palestina ( ovvero nella cacciata o
nella eliminazione fisica della popolazione araba) rappresenti un insulto per tutti gli italiani amanti della libertà e della giustizia: sostenere un regime come quello israeliano significa
infatti rendersi conpartecipi e corresponsabili dei suoi crimini, che anche oggi, giorno dopo giorno, continuano. Proviamo rabbia e vergogna per quello che i nostri governanti
“tecnici” hanno dichiarato, e per quello che probabilmente faranno; troviamo però determinazione e volontà di continuare ad esprimere le nostre posizioni, e ad agire di con
seguenza, in giornate come quella di sabato e di venerdì, quando abbiamo organizzato a Parma una bella e partecipata iniziativa sulla crisi siriana.

Giu’ le mani dalla Siria- non esistono guerre umanitarie
Con la Palestina nel cuore… e una bandiera rossa in mano

Gruppo di Azione per la Palestina – Parma

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Giù le mani dalla Siria!

Quello che sta succedendo in questi giorni in Siria non solo in quanto “opinione pubblica” ci sta sfuggendo di mano, ma ci sta soprattutto scivolando addosso, sgusciando attraverso il bombardamento mediatico. L’obiettivo della dis-informazione ufficiale, tanto di destra quanto di “sinistra”, è chiaro , ed è una strategia ormai comprovata (pensiamo ad esempio alla questione delle “primavere arabe”): normalizzare ed appiattire, sostenere i buoni (“chi si ribella”) contro i cattivi (“i feroci dittatori”) auspicando aiuti per “fermare il massacro”. Trasformare una crisi geopolitica in un’emergenza umanitaria è una tattica tanto subdola quanto vincente, in grado di caricare, purtroppo, anche larghe fette della sinistra sul carrozzone dei “diritti umani”, negando in questo modo lo sguardo alla complessità della realtà e, più o meno indirettamente, acquisendo consensi per un’azione guerrafondaia da parte del governo. Con questo non vogliamo negare che ci sia ANCHE una questione umanitaria in Siria in questo momento ,ma vogliamo esortare a tenere la guardia alta nei confronti di cifre astronomiche, intervistati senza nome, dati e notizie senza alcun tipo di riscontro o fonte. Il ministro degli esteri Terzi (facente  parte di un governo non eletto dal popolo), ha rilasciato dichiarazioni che non lasciano alcun dubbio riguardo un intervento italiano in Siria, dove l’invio di soldati si configura come prova di amore e fedeltà verso gli Stati Uniti e l’Unione Europea. Le “missioni di pace” non sono più neanche argomento da mettere in discussione, la guerra è diventata un dato di fatto da accettare per poter rimanere a pieno titolo membri dell’UE; questo vale non solo per la sinistra istituzionale ma, purtroppo, anche per alcune parti della sinistra extraparlamentare e rivoluzionaria che dovrebbe riconoscere nella “guerra umanitaria” l’arma per eccellenza del padronato imperialista. La vera emergenza è la bramosia europea di capitale e controllo che calpesta  la sovranità del potere di uno Stato e di un popolo. Continua a leggere

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Siria. Una finestra di speranza dopo un lungo periodo di complotti

“Le potenze regionali e internazionali stanno perdendo la speranza di una qualsiasi possibilità per un cambiamento di regime, gli stessi attori locali che avevano promesso un facile e veloce ribaltamento di regime lamentano e maledicono l’ ambizione e la miopia che ora  li travolge”

I recenti  scontri in Siria hanno evidenziato  nuovi sviluppi  che in futuro potrebbero  confermare una tendenza da tempo percepita: l’incapacità dei diversi gruppi di ribelli diverso e terroristi  di affermarsi come un fronte unito, per non parlare della impossibilità di infliggere una  significativa e decisiva sconfitta all’esercito governativo . Contrariamente a tutto ciò, le forze governative sono state in grado di ottenere significativi successi militari e di assestare  duri colpi ai gruppi di miliziani, costringendoli ad  ammettere che la battaglia di Aleppo sarà  l’ultima e la più importante di tutte le battaglie.

Vale la pena menzionare che l’intensità delle recenti battaglie ad Aleppo, con la devastazione e la distruzione che ha colpito la città, ha portato molte persone a comprendere quale sia la vera agenda dei ribelli e dei loro sostenitori.

Inoltre, molti gruppi e individui armati in diverse città e villaggi siriani hanno  iniziato a contattare i funzionari locali o i capi delle tribù e delle famiglie al fine di intercedere e di fungere da mediatori con le autorità ufficiali siriane per dare loro le  garanzie di sicurezza cosicché  possano  deporre le armi.

Lo stato d’animo nelle diverse città siriane e tra la gente sta cambiando, le persone hanno potuto sperimentare  quale terribile alternativa, la cosiddetta opposizione sta offrendo, così si è  arrivati a una sorta di conclusione collettiva, che sta portando la gente a smettere di essere passiva e ad agire a sostegno del governo.

Si possono facilmente incontrare molti siriani pro-opposizione, che vi diranno che la maggior parte dei combattenti  che attraversano le diverse regioni siriane sono stranieri che appartengono a molte nazionalità, arabi e non arabi. Sì, gli aiuti militari e logistici, stanno ancora inondando i territori siriani, ma, il morale dei ribelli e dei gruppi militanti non è mai stato così basso come lo è adesso.

Le potenze regionali e internazionali stanno perdendo la speranza di una qualsiasi possibilità per un cambiamento di regime, gli stessi attori locali che avevano promesso un facile e veloce ribaltamento di regime lamentano e maledicono l’ ambizione e la miopia che ora  li travolge, e ora guardano con interesse a qualsiasi serio tentativo di aiuto. D’altro canto, il governo è  stato in grado di attuare una strategia su più livelli, sul piano militare e sul piano politico, coordinando in maniera disciplinata i diversi  apparati ufficiali  riuscendo così a mantenere un efficiente livello di comando e controllo.

Quale risultato possiamo attenderci  per la crisi in corso?

Tenendo in  considerazione tutti gli sviluppi sopramenzionati , l’unica soluzione  che possiamo aspettarci e prevedere  è di natura politica. In effetti, le varie potenze regionali e internazionali coinvolte nel sostegno alle fazioni militari, si sono scontrate con l’opposizione di Cina,Russia, e Iran, finendo per sbattere la testa contro il blocco  iraniano-russo-cinese,  poiché questi tre paesi hanno fatto di tutto per prevenire e resistere a qualsiasi azione militare esterna. Hanno fatto molti passi di ulteriore intermediazione, hanno sostenuto e  facilitato molte iniziative politiche per portare l’opposizione e i rappresentanti del governo  ad impostare insieme una soluzione negoziale  tutta  siriana  basata su strade praticabili e non importate o dettate dall’esterno.  Gli sforzi stanno guadagnando impulso  e credito, grazie alla volontà di adesione e sostegno espressa da paesi come l’Egitto e la Turchia .

La crisi siriana si sta dirigendo ora verso un punto di svolta, e la speranza, dopo che molte potenze regionali hanno tentato  delle inutili  cospirazioni, è quella di dare spazio alla razionalità, altrimenti, l’unica altra alternativa è un ulteriore spargimento di sangue e maggiori distruzioni,  cose che corrispondono  solo agli obiettivi di Israele e degli altri nemici della Siria e del suo popolo.

* Ibrahin al Mousawi è un dirigente di Hezbollah

Da http://www.almanar.com.lb

Traduzione a cura della Commissione Internazionale della Rete dei Comunisti

fonte: contropiano.org

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Sa’adat: congratulazioni al presidente Chavez e al popolo venezuelano per la loro vittoria elettorale.

Il compagno Ahmad Sa’adat, il Segretario Generale del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina ancora prigioniero, ha mandato un messaggio al rieletto presidente venezuelano Hugo Chavez, congratulandosi per il successo ottenuto alle elezioni presidenziali e per il significato storico di questa vittoria. Sa’adat ha espresso la convinzione che la difesa della libertà, della vera dignità umana, dei valori della giustizia sociale, dei diritti degli indigeni e del livello di sviluppo della democrazia sociale e della cultura politica del popolo venezuelano sono la chiave dell’ennesima vittoria del presidente Chavez e della rivoluzione bolivariana in marcia verso la sovranità nazionale, la piena indipendenza, il progresso sociale e verso la realizzazione del socialismo venezuelano. Sa’adat ha sottolineato come ovunque il popolo palestinese tenga presente il grande orgoglio e la solidarietà con i quali il presidente Chavez sostiene il popolo palestinese nel combattimento contro l’occupazione e la continua aggressione sionista, e la sua ferma posizione a favore dei giusti e legittimi diritti del popolo palestinese. Sa’adat ha inoltre salutato il popolo venezuelano e le sue forze democratiche e progressiste, sottolineando l’importanza di rafforzare i legami dell’amicizia venezuelano-palestinese e di unire le lotte dei due popoli. Il portavoce del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, Khalid Maqdesi, ha inoltre espresso le congratulazioni del FPLP al popolo venezuelano ancora in cammino sul sentiero della rivoluzione bolivariana, affermando che la vittoria elettorale in Venezuela rappresenta un duro colpo al tentativo dell’imperialismo americano di ristabilire la sua egemonia in America Latina. Maqdesi ha reso omaggio ai processi rivoluzionari che si stanno sviluppando in America Latina, notando come quel continente sia il centro della lotta, dello sviluppo politico e sociale e della resistenza che si pone come ferma antagonista al ruolo degli Stati Uniti. Maqdesi ha inoltre sottolineato come il popolo venezuelano negli ultimi 12 anni abbia costruito un legame rivoluzionario tra il protagonismo del popolo e il reale cambiamento sociale, mobilitando enormi masse sia nel difendere che nel far avanzare la rivoluzione; la dichiarata eredità di Simon Bolivar si pone sul sentiero della liberazione nazionale, e parla anche dell’attuale lotta palestinese ed araba di liberazione nazionale.

fonte: pflp.ps/eng

traduzione a cura del Gruppo d’Azione per la Palestina

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“È un illuso chi pensa di piegare la Siria”

Intervista a Ammar Bagdach, segretario generale del Partito Comunista Siriano (PCS).
 

In mezzo alla campagna di disinformazione sulla crisi in Siria – la maggior parte delle volte basata su testimoni senza nome che offrono cifre “indeterminate”-, Ammar Bagdach, segretario generale del Partito Comunista di quella nazione araba, ha acconsentito a condividere con il giornale cubano Granma una realtà molto distante da versioni mediatiche parziali .

Quali sono stati i principali compiti portati avanti dal PCS da quando si è scatenata la crisi?

“In primo luogo, la lotta per preservare l’indipendenza nazionale, la sovranità e la linea patriottica antimperialista della Siria, e per gli interessi e le rivendicazioni delle masse popolari meno abbienti.

“C’è un altro compito molto importante, soprattutto nel contesto che ci viene imposto, la difesa della produzione nazionale. Applichiamo sempre la disposizione dettata dal leader storico del Partito, Khaled Bagdach: la difesa della patria e la difesa del pane del popolo.

“Il nostro Partito sta svolgendo un ruolo di mobilitazione molto importante con il popolo per denunciare la natura della cospirazione che è stata ordita contro di noi. Le prime mobilitazioni di massa, che dall’anno scorso sono state fatte davanti alle ambasciate delle grandi potenze, sono state organizzate ed hanno avuto una partecipazione sostanziale da parte del nostro Partito. Davanti alla sede diplomatica della Francia, il popolo ha chiarito che non dimentica i crimini commessi dal colonialismo francese nel nostro paese. Abbiamo innalzato uno striscione con la frase del Generale De Gaulle: “E’ illuso chi pensa di poter piegare la Siria”. Continua a leggere

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“Giù le mani dalla Siria”. Qualcosa si muove, a sinistra

Un incontro nazionale domenica scorsa ha messo a confronto le reti, organizzazioni e associazioni che si battono contro la guerra in Medio Oriente e non si sono arruolate nella campagna tesa alla destabilizzazione della Siria. In cantiere diverse iniziative per i prossimi mesi.
Alcune  decine di compagni provenienti da tutta Italia hanno partecipato alla riunione nazionale del 30 ottobre convocata a Roma dalla Rete dei Comunisti per dare seguito all’appello giù le mani dalla Siria. Altre realtà  di Parma, Napoli, Torino, Modena, Pisa, e dalla Sardegna  non sono potute essere presenti ma hanno confermato il proprio interesse  a proseguire la mobilitazione nello spirito dell’Appello sottoscritto “Giù le mani dalla Siria.”
I compagni di Modena ed i compagni dell’International Solidarity Movement hanno mandato i loro saluti e i loro contributi scritti, e di cui sono stati letti alcuni passaggi significativi subito dopo la relazione introduttiva. Continua a leggere

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Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina – I Massacri di Sabra e Shatila

A Sabra e Shatila, abitavano migliaia di rifugiati palestinesi cacciati dalla Palestina nel 1948 durante l’occupazione Sionista delle loro case e delle loro terre. Furono circondati e rinchiusi durante l’aggressione Sionista e l’occupazione di Beirut. Noi ora leviamo le nostre voci in onore di quei nostri martiri che morirono lottando per la nostra libertà nei campi di Sabra e Shatila e per la loro continua dedizione per la giustizia e la libertà.

Le forze Sioniste, sotto il comando di Ariel Sharon, prima ministro della difesa ed oggi primo ministro dello stato Sionista, hanno accerchiato i campi ormai svuotati dai combattenti della resistenza e abitati soprattutto da donne e bambini palestinesi e libanesi. A questo punto, Sharon ha ordinato l’entrata a Sabra e Shatila delle Forze libanesi, una milizia di falangisti di destra con stretti legami con gli occupanti Sionisti, e l’Esercito del Libano del Sud, l’esercito manovrato dell’entità Sionista in Libano. Per i due giorni che sono seguiti, aiutati dall’illuminazione dei razzi notturni e da altri appoggi dell’esercito Sionista che circondava i campi, queste milizie hanno torturato, stuprato ed assassinato migliaia di rifugiati palestinesi, con la piena approvazione ed appoggio degli invasori Sionisti.

Il sangue di migliaia di rifugiati palestinesi dei campi di Sabra e Shatila è rimasto impresso sulle mani di Ariel Sharon, che continua tutt’oggi il suo brutale massacro di Palestinesi.

Le radici del massacro di Sabra e Shatila sono da ricercare nel 1948 e nell’espropriazione ed espulsione di centinaia di migliaia di Palestinesi durante la colonizzazione Sionista e l’occupazione della nostra terra. I Palestinesi furono costretti a riparare in campi profughi sparsi in tutta la nazione Araba, gli furono negati i loro diritti e la loro identità, e furono le vittime designate dello sterminio di una nazione. Continua a leggere

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