La condizione della donna nella Palestina occupata e il suo ruolo nella lotta di liberazione. Intervista ad Abla Sa’dat

copertinaintervistaIn occasione della prima giornata della Settimana di Azione Globale per la Liberazione di Ahmad Sa’adat (17-24 ottobre 2013), pubblichiamo un’intervista rilasciata ad alcuni militanti del Gap da Abla Sa’adat, presidente dell’Organizzazione delle Donne Palestinesi e moglie del Segretario Generale del fronte Popolare per la Liberazione della Palestina.

Questa prima pubblicazione, incentrata sulla condizione della donna palestinese e su Ahmad Sa’adat, si inserisce nel quadro di una più ampia campagna di diffusione di materiale inedito, raccolto dai Gap durante i campi estivi organizzati in Palestina; seguiranno dunque altre interviste ed altre dichiarazioni, raccolte e tradotte dal Gruppo di Azione per la Palestina.

“La condizione della donna nella Palestina occupata e il suo ruolo nella lotta di liberazione” è disponibile qua sotto, in formato testo, mentre qui potete trovare il pdf scaricabile.

 

 

 

La condizione della donna nella Palestina occupata e il suo ruolo nella lotta di liberazione.

Intervista con Abla Sa’adat, presidente del Comitato delle donne Palestinesi e moglie di Ahmad Sa’adat, Segretario Generale del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP).

A.S. Io lavoro all’interno del Comitato per le Donne che non è una sezione a sé stante ma fa parte di un lavoro su un piano politico nazionale, siccome si tenta di integrare il più possibile il ruolo della donna all’interno della lotta del popolo palestinese a tutti i livelli (politico, sociale) e si prova a far entrare le donne in questo ambiente in modo da portare avanti la lotta, a rimanere uniti, e si lavora in tutti gli ambienti, sia nelle periferie, nei campi profughi e nelle città.

Gap Che tipo specifico di attività vengono svolte con le donne, quali sono le modalità e a quali donne ci si riferisce?

A.S. Si lavora in vari ambiti, il più semplice è quello delle cooperative femminili: si opera nel settore dell’occupazione per riuscire ad aiutare la donna ad entrare nel mondo del lavoro. Si tratta di vari progetti di diversi tipi, ad esempio lavori di tipo manuale come l’agricoltura o i lavori di artigianato e varie cose di questo genere in modo da riuscire a dare la possibilità di lavorare a queste donne. Si lavora anche in altri ambiti, tra cui quello politico, col quale si cerca di dare una sensibilizzazione politico-sociale a queste donne in modo da renderle pronte per esempio alle elezioni, per candidarsi o anche semplicemente per andare a votare. Una sorta di “scuola di politica”: si cerca di sensibilizzare per riuscire ad entrare nel mondo della politica palestinese.

Esiste un progetto che viene svolto principalmente nelle periferie delle città e di vari villaggi, che si chiama “gli asili di Ghassan Kanafani”: con una somma simbolica versata dalle famiglie, si costituiscono queste scuole per permettere ai bambini di entrare nel mondo dell’istruzione. In queste zone periferiche vi è un alto tasso di analfabetismo, e questo è un modo per permettere alle famiglie di far studiare i propri figli.

Un altro progetto è rivolto alle ragazze che finiscono la maturità e vorrebbero entrare all’università: qui in Palestina i costi sono molto elevati e spesso per questioni culturali una famiglia povera con un figlio ed una figlia preferisce far studiare il maschio mentre la femmina dovrà sposarsi. Questo progetto ha l’obiettivo di dare a queste ragazze la possibilità di studiare aiutandole dal punto di vista economico con il pagamento delle rette universitarie. Ad oggi il progetto aiuta 70 ragazze, ma il numero è in costante aumento. Chi vuole aiutare il progetto paga una quota all’associazione ed il comitato paga le rette e decide come distribuire i soldi tra le varie studentesse a seconda della loro situazione economica; la persona che “adotta” le rette scolastiche manda le ricevute al comitato.

Gap Quali tipi di progetti attivate nei campi profughi, di quali campi profughi vi occupate in particolare, come aiutate le ragazze e le donne dei campi?

A.S. Le attività del Comitato all’interno dei campi profughi vengono organizzate attraverso le varie sedi del Comitato dislocate nelle città ed anche nei campi profughi; tramite queste sedi ed i loro membri attivi si riescono a svolgere diverse attività di tutti i generi, principalmente di tipo politico (dibattiti, formazione politica). Tutte le attività vengono divise in due parti: la prima per le ragazze più giovani, la seconda per le donne. Le due cose vengono tenute separate perché con le ragazze si lavora principalmente nel campo della politica piuttosto che in quello del lavoro; per queste giovani vengono organizzati dei campi di lavoro che si occupano, tramite delle sedute, principalmente di formazione, soprattutto di tipo socio-politico. I campi profughi geograficamente si trovano nelle zone di città, vicino alle sedi del Comitato quindi si riesce a lavorare bene, ed è anche un ambiente molto diverso dai villaggi dal punto di vista sociale; i villaggi di periferia sono l’ambiente dove si ritiene più opportuno lavorare, per esempio ci sono dei villaggi di fianco al muro lungo la strada dove l’ambiente sociale è molto diverso rispetto a quello dei campi profughi o quello delle città. L’ambiente nei villaggi è molto più chiuso, per esempio spesso le famiglie non vedono di buon occhio che una ragazza vada fino in città per partecipare a degli incontri, quindi è il Comitato che raggiunge questi luoghi e queste ragazze.

Gap Quante donne sono coinvolte nell’organizzazione di questi progetti?

A.S. Ci sono due uffici principali (del Comitato, n.d.t.), uno con sede a Gaza ed uno nella Cisgiordania. Non so di preciso di quante persone disponga l’ufficio di Gaza, ma le attività sono pressapoco le stesse di quello della Cisgiordania che dispone, tra insegnanti d’asilo, capi progetto, organizzatrici di progetti ed attività, di circa 120 donne impiegate che ricevono un salario, ma se si vuole calcolare anche tutte le donne che lavorano in modo volontario (non in modo fisso e senza percependo un salario) si arriva a 3500-4000 donne

Gap Il salario percepito dalle 120 impiegate viene pagato dal Comitato attraverso i contributi o in un’altra maniera?

A.S. Come finanziamento non c’è una vera e propria quota da pagare ma si lavora a progetto; la maggior parte dei finanziamenti del Comitato vengono dall’estero, da organizzazioni amiche, come ad esempio un’associazione spagnola che ha finanziato il progetto di sensibilizzazione politica delle donne al fine di sviluppare un ruolo politico. In questo momento si riesce comunque ad andare avanti ma a livello di finanziamento non si hanno molte opzioni, la situazione è abbastanza critica, anche a causa delle ONG che si rifiutano di finanziare i progetti -anche se lo stesso Comitato si rifiuta di essere finanziato da determinate organizzazioni, poiché si adotta un punto di vista di sinistra nella concezione del lavoro, in particolare le posizioni del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina.

Gap In che relazione è il Comitato nei confronti del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina?

A.S. Il Comitato non è un’estensione del Fronte, tuttavia si condividono le stesse opinioni e le stesse posizioni e vi è un rapporto di amicizia e collaborazione. Nel Comitato ci sono molte donne membre del FPLP ma le attività sono rivolte a tutte, indipendentemente dall’appartenenza o meno al partito: basta essere concordi sulla situazione attuale e su questo modo di lavorare.

Si lavora anche con le famiglie dei prigionieri, la madri e le mogli: si prova a dare aiuto e sostegno. La stessa cosa vale per le famiglie dei martiri. Questo aiuta molto anche la campagna di solidarietà con i prigionieri palestinesi e Ahmad Sa’dat, siccome provare a dare una sensibilizzazione politica alle donne vuol dire aiutarle a trovare il loro posto nell’avanzata della lotta nazionale del popolo palestinese; quando ad esempio vi è una qualche iniziativa o un qualche appello urgente tra queste donne si trova subito chi rispondere. Ultimamente le donne stanno giocando un grande ruolo, soprattutto negli ultimi due scioperi della fame del novembre 2011 e dell’aprile 2012: è stata molto forte la loro presenza nelle “tende di sciopero” nelle varie città palestinesi, sono state loro a recarsi ai check point e alle carceri, provando la loro presenza. Questo progetto di sensibilizzazione quindi si prova e si riesce a dare una spinta in più alla lotta palestinese.

Gap Quando è nato il Comitato e quali differenze ci sono ora rispetto ad allora? L’avanzata di Hamas e dell’islam politico quanto ha inciso sul ruolo della donna e sul vostro lavoro con le donne?

A.S. Abbiamo cominciato nel 1980. Il periodo in cui si è riusciti a lavorare meglio è stato durante la prima Intifada del 1987: il lavoro riusciva ad espandersi molto e ad essere ben coordinato e preciso, è stato il periodo in cui si è riusciti a fare di più. Tuttavia col passare del tempo ci sono stati molti fattori di declino, tra cui gli accordi di Oslo (2002) che hanno portato grandi peggioramenti per il ruolo della donna e il suo lavoro, così come per i partiti politici e tutti i movimenti. Anche l’ascesa di Hamas e dell’islam politico hanno giocato un ruolo importante in tutto questo portando l’espansione della visione religiosa e dell’analisi religiosa di ciò che accade qui in Palestina rende più difficile il lavoro con le donne: già dalla nascita si ha una cultura ed un’istruzione religiosa che rende difficile far superare certe idee che si sono sedimentate nel tempo, anche se c’è ancora chi vuole lavorare negli ambienti della sinistra palestinese lottando per una Palestina laica soprattutto legati al Fronte Popolare.

I fattori che hanno portato declino, anche nel lavoro con la donne, sono stati principalmente quattro: primo gli accordi di Oslo; secondo la creazione dell’Autorità Nazionale Palestinese e di tutte le sue componenti, che hanno peggiorato molto la situazione del Comitato e di tante altre associazioni che lavorano con le donne; terzo le ONG, che hanno giocato un ruolo molto negativo in questa situazione; quarto ed ultimo fattore la mancanza di fondi e di finanziamenti, soprattutto all’indomani di Oslo e della creazione dell’ANP, che ha portato anche il Fronte in una difficile situazione economica che ha reso più debole anche il Comitato. Questo declino ha provocato anche una perdita di fiducia da parte del popolo nei confronti dei vari partiti politici che hanno dovuto ridurre molto le loro attività.

Il lavoro e le attività durante gli ultimi due scioperi della fame non sono stati organizzati solo qui nei Territori Palestinesi, ma anche in Giordania, in Canada, in Spagna, in Brasile e negli Stati Uniti. Prima dello sciopero abbiamo avvertito tutti i nostri contatti all’estero che lavorano per il Comitato, quindi si sono organizzate iniziative per i prigionieri. La forza di uno sciopero sta nell’azione popolare, siccome l’azione popolare rappresenta la pressione esercitata dallo sciopero e senza di essa non avrebbe significato. Vengono organizzate diverse attività, come ad esempio montare delle tende di presidio in tutte le città palestinesi durante lo sciopero, gruppi di persone che iniziano scioperi aperti della fame, gente che lavora sui media e sull’informazione in modo da far arrivare le notizie per come sono e non alterate in qualche modo; altri si tengono in contatto con gli avvocati che visitano i prigionieri per rendere pubblici gli obiettivi dello sciopero, le condizioni di salute dei prigionieri che sono in sciopero della fame e i metodi da loro scelti per lavorare, il tutto in modo da creare più pressione possibile intorno allo sciopero. Si lavora soprattutto con la Croce Rossa, siccome gli avvocati sono mandati da loro prendono informazioni da loro e le tende di presidio vengono montate proprio davanti alle sedi della Croce Rossa in segno di protesta perché è la Croce Rossa ch si occupa dalla situazione dei prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane (la C.R. manda gli avvocati nelle carceri a visitare i detenuti). Gli avvocati non vengono mandati solo dalla Croce Rossa ma anche da altre organizzazioni, tra cui l’Associazione per i Prigionieri, il Ministero per i prigionieri,un’associazione per i prigionieri il cui nome significa “la coscienza”. Gli avvocati fanno da tramite tra i prigionieri, le famiglie e le varie organizzazioni in modo da rendere note le condizioni dei carcerati. All’inizio dello sciopero sono state preparate e presentate tutte le richieste, tra le quali in particolare: la fine dell’isolamento per i prigionieri- c’erano 22 prigionieri, facenti parte della leadership del popolo palestinese, in isolamento, soli o a coppie-; la fine della detenzione amministrativa, ovvero quando vieni arrestato senza sapere le accuse percui la detenzione viene prolungata progressivamente a discrezione dei tribunali israeliani, che non sono tenuti a dare una spiegazione; vi sono poi altre richieste come l’istruzione all’interno delle carceri, il miglioramento delle condizioni igieniche e dei pasti.

[ci racconta che è appena tornata dal Venezuela dove ha seguito un congresso di partiti comunisti e movimenti di sinistra]

Dal mio punto di vista, vedo che ora l’America si sta muovendo assoldando per i loro interessi i Fratelli Musulmani, che si stanno espandendo e stanno prendendo il controllo del mondo arabo. Come movimenti di sinistra noi siamo poveri, male organizzati e divisi in molte fazioni: l’unico modo per riuscire a rimettersi al lavoro è quello di riuscire a riunificarci ma non all’interno di un solo paese ma in generale ricostituire una rete internazionalista.

Gap Come nello specifico le ONG hanno influito negativamente sulle attività del Comitato?

A.S. Quando sono arrivate le ONG, i loro progetti erano di finanziamento o comunque di natura economica, ma hanno cominciato ad agire diversamente dai loro principi, svuotando la gente dei propri concetti culturali rimpiazzandoli con nuovi concetti e nuove idee. Oggi i progetti delle ONG sono soltanto dei campi di lavoro o dei workshop: pagano ai partecipanti alloggio in alberghi lussuosi, trasporti, vitto, rimborsi spese e, alla fine, tornano a casa con un’idea diversa, di tipo “colonialista”.

La parte che ha sofferto di più a causa delle ONG è stato il Fronte Popolare, perché ha visto molti dei proprio militanti, anche esperti, disertare ed unirsi ai progetti delle ONG, poiché attuano un programma più lungo, più pieno ed è finanziato da varie associazioni, anche amiche ed anche di sinistra, ma in cambio bisogna accettare delle regole e delle ristrettezze- Save the Children, CHF…- e ad esempio fanno firmare delle dichiarazioni contro il terrorismo o contro l’appartenenza a varie fazioni dell’OLP, in particolare il Fronte Popolare, ma anche Hamas e la Jihad Islami. L’obiettivo di queste organizzazioni è più politico che umanitario.

Io sono membra di un ufficio di coalizione di donne di vari partiti palestinesi e in un certo periodo di tempo si ricevevano i fondi anche da organizzazioni apolitiche che erano come un rubinetto aperto; quando poi però ci sono stati gli eventi in Tunisia ed in Egitto questi si sono ritirati dalla Palestina ed hanno cominciato a finanziare progetti in Tunisia ed in Egitto. Un motivo per tutto questo ci sarà. Loro vogliono cambiare delle cose, e qualcosa anche qui è cambiato: la modalità di pensiero che si ha. Sono state impiantate delle nuove idee, dei nuovi concetti, sono state coniate anche delle nuove parole per definire questa situazione.

Gap Quali organizzazioni non palestinesi collaborano con il Comitato delle Donne?

A.S. Non conosco esattamente il nome delle organizzazioni, ma principalmente vengono dalla Spagna. C’è anche una fondazione femminile palestinese negli Stati Uniti che finanzia vari progetti, in particolare quello delle ragazze universitarie con problemi economici. I Paesi Baschi sono quelli che aiutano più di tutti, anche se non hanno tante possibilità economiche lavorano il più possibile.

Gap Com’è l’umore di Ahmad Sa’dat e come vede la situazione attuale?

A.S. Ha sempre il morale molto molto alto. Gli avvocati della Croce Rossa dicono che quando vanno a fargli visita non vogliono più andarsene perché lui non si lamenta di niente, né del cibo né della sua condizione in carcere, ha sempre il morale molto alto. Il suo morale alto l’ha aiutato ad andare avanti soprattutto durante il primo sciopero della fame, quello di novembre: è entrato in sciopero della fame che stava male fisicamente e non è riuscito ad andare oltre 23 giorni, ma durante l’ultimo sciopero della fame mandava continuamente messaggi dicendo che stava bene e ha detto che avrebbe continuato lo sciopero per altri 30 giorni senza preoccuparsi- oltre a quelli che stava già facendo- anche perché la condizione morale dà sempre una spinta in più e riesce a contrastare la condizione fisica, sennò si collassa. Ahmad vede la prigione soltanto come un altro fronte di battaglia e quindi non ci si deve riposare e smettere di lottare ma anzi è un luogo dove riuscire a portare avanti la lotta. Appena è stato arrestato è stato mandato al carcere di Hadarin, vicino ad Haifa, che è considerato il carcere più leggero di tutti, lo stesso di Marwan Barghouti della leadership di Fatah: lui dice che ci è rimasto male perché avrebbe preferito essere in altre carceri nelle sezioni del Fronte insieme agli altri compagni, in modo da riuscire a rimanere più in contatto con la realtà e riuscire ad organizzare. Chi ha una posizione veramente giusta rispetto alla lotta del popolo palestinese e per chi lotta per il popolo palestinese, vede il carcere soltanto come una scuola da dove uscire con le idee più chiare dopo aver avuto una sensibilizzazione politica e una formazione ideologica. Ahmad passa quasi tutto il suo tempo a fare delle sedute o ad insegnare ai ragazzi più giovani. La situazione delle carceri è pian piano peggiorata, soprattutto in questo periodo poiché si sta tentando, e si sta riuscendo, a cambiare dei concetti e delle realtà all’interno del carcere. Ora si sta tentando di concentrare l’attenzione dei prigionieri sui soldi che arrivano per i vestiti o per il cibo, poiché ora l’Autorità insieme al governo israeliano hanno deciso da qualche anno di creare delle specie di negozi all’interno del carcere, le famiglie mandano i soldi con cui i prigionieri possono prendere qualcosa. Pian piano attraverso i privilegi ci si sta dimenticando dell’organizzazione all’interno delle carceri per cui riuscire a mandare avanti la lotta. All’interno delle carceri, perdendo coscienza di determinate cose, anche i successi delle lotte precedenti vengono cancellati, si sta togliendo l’istruzione secondaria e universitaria all’interno delle carceri, vengono requisiti i libri e vengono calpestati molti diritti dei prigionieri. Pian piano cercano di distruggere quel poco di coscienza che era rimasta fino a poco tempo fa e cambiare la modalità di pensiero del prigioniero all’interno delle carceri israeliane. Da due anni i prigionieri del Fronte stanno chiedendo alle altre fazioni di unirsi in uno sciopero della fame, fino al novembre 2011, quando il Fronte, ritrovatosi da solo e senza risposte dai parte dei partiti, è entrato in sciopero della fame da solo.

Ahmad è stato il primo ad iniziare lo sciopero della fame, gli altri prigionieri politici lo hanno seguito, poiché vuole mettere in atto ciò in cui crede, ovvero che chi vuole prendersi delle responsabilità dev’essere il primo a dare l’esempio, dev’essere in prima fila assieme agli altri e non dirigere da dietro le quinte- contrariamente ai leader delle altre fazioni politiche. Ad esempio durante questo sciopero della fame ho chiesto ad alcuni militanti di Fatah perché Marwan Barghouti e tutto il partito non hanno preso parte allo sciopero; quando la gente vede un leader di partito scendere in campo in prima linea è più incoraggiata, perché vede che esiste una struttura di tipo orizzontale basata sull’uguaglianza.

Quando sono usciti,molti prigionieri che erano in sciopero della fame hanno espresso molta ammirazione nei confronti di Ahmad, come Khader Adnan, anche se fa parte dei Jihad Islami e non del Fronte Popolare, ma quando si hanno dei veri principi si può camminare insieme nel giusto anche se ci sono grandi differenze di ideali esiste comunque un grande rispetto.

I ragazzi che lo vedono in prigione dicono che [Ahmad] è sempre intento a scrivere, ha preparato già molte cose, poi le scambia all’interno del carcere con gli altri prigionieri. Una cosa che odio è quando gli porto dei vestiti, che non accetta poiché non gli importa gran chè del suo aspetto ma solo di riuscire ad organizzare qualcosa. Una volta, per il suo compleanno, sono riuscita a fargli passare una coperta nuova ma quando gli è arrivata lui l’ha rifiutata dicendo che aveva già quella vecchia e quella nuova l’ha passata al suo compagno di cella. Ogni mese gli mando 1000 shekel (circa 200 euro) ma lui non li spende tutti, quando arrivano li dividono tra compagni; nell’ultimo periodo sta anche smettendo di fumare e praticando molto sport, in modo da mantenersi in forma fisicamente per riuscire a sopportare meglio il carcere.

Ahmad, come altri prigionieri politici, sta subendo una condanna amministrativa della durata di 30 anni solo per essere segretario del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, anche se il Fronte sta sotto l’ OLP che è riconosciuto come legittimo rappresentante del popolo palestinese. Perché lui viene trattato così mentre ad esempio quelli di Fatah in un altro modo? Quando lui è stato arrestato non ha riconosciuto il tribunale israeliano, ha rifiutato di essere difeso e si è dichiarato prigioniero politico. Ogni carcere ha un recapito postale ed è possibile inviare delle lettere: questo infastidisce molto gli israeliani e soprattutto alza molto il morale ai prigionieri.

 

 

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